Riscaldamento globale? Per un terzo è colpa di come mangiamo!

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Il titolo che abbiamo scelto riassume le tesi contenute in un interessante libro che abbiamo appena finito di leggere: Diet for a Hot Planet, di Anna Lappé, edito da Bloomsbury, New York. Uno di quei testi che varrebbe davvero la pena di tradurre in italiano perché pieno di stimoli alla riflessione e al cambiamento di mentalità.

Secondo l’Autrice, il legame tra i cambiamenti climatici e il nostro modo di nutrirci è diretto e cruciale e non può essere affatto ignorato se si desidera fare qualche consideravole progresso nella lotta per la conservazione della Terra. Dati alla mano, Anna Lappé sostiene che la catena alimentare globale è responsabile di ben un terzo del riscaldamento del pianeta. Certamente per via del cibo trasportato da un continente all’altro per soddisfare capricci spesso ridicoli, ma soprattutto l’allevamento di bestiame che al momento incide in maniera assai maggiore del trasporto.

Come sono soliti fare i saggisti anglosassoni, anche Lappé riassume in sette punti le strategie che di cui converrebbe fare tesoro per continuare ad alimentarsi senza danneggiare ulteriormente il pianeta:

1. Scegliere cibo vivo, ossia non sottoposto a trattamenti di vario tipo per migliorarne la durata e l’aspetto, ivi inclusa la modificazione genetica.

2. Preferire l’alimentazione a base di vegetali. Il 70% dei terreni agricoli è dedicato all’allevamento di bestiame per la produzione di carne e latticini. Non è necessario diventare vegetariani, basta ridurre un po’ il consumo di carne.

3. Scegliere prodotti biologici. L’agricoltura biologica e sostenibile produce enormi benefici a lungo termine: elimina l’uso di fertilizzanti di sintesi e di pesticidi e arricchisce il terreno invece di impoverirlo. Inoltre evita l’inquinamento delle falde acquifere e la moria dei pesci in fiumi, laghi e mare.

4. Preferire alimenti locali, a chilometri zero.

5. Non sprecare il cibo, nella peggiore delle ipotesi, compostarlo. Lo spreco di alimenti nella società occidentale è enorme: si pensi agli articoli che non possono essere venduti oltre la data di scadenza o al cibo non consumato nei ristoranti che per legge deve essere eliminato. Tutti gli avanzi dovrebbero essere non conferiti in discarica, ma compostati e utilizzati come fertilizzanti per orti e giardini.

6. Evitare gli imballaggi come la peste. Bottiglie di plastica per acqua e bibite, contenitori per il fast food, vaschette e vassoi di vario tipo al supermercato. Conviene sempre optare per prodotti conservati negli imballaggi più ridotti oppure riutilizzabili e riciclabili in altra maniera: ciò contribuirà a indirizzare i produttori verso altre forme di packaging.

7. Ritornare a produrre e cucinare il proprio cibo. Anche se può sembrare banale, coltivare un orto e cucinare i propri prodotti della terra non soltanto fa risparmiare denaro, evita l’utilizzo di ogni tipo di imballaggio e trasporto e fa bene alla salute, ma aiuta anche a mettere nella giusta prospettiva il ciclo alimentare che parte dal campo e arriva al bidone dei rifiuti.

1 commento su “Riscaldamento globale? Per un terzo è colpa di come mangiamo!”
  1. Maria Erdas ha detto:

    E’ molto interessante, peccato che non si può leggere il libro in italiano.
    Lo stato comunque e la Comunità europea dovrebbero favorire lo sviluppo dell’agricoltura biologica anche con incentivi agli agricoltori che per il momento non riescono a sostenere i costi e l’agricoltura normale è molto più redditizia.
    Bisogna lavorare sulla mentalità della gente, sul modo di fare la spesa….
    E le multinazionali?


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