Come è profondo il mare, il libro di Nicolò Carnimeo sull’inquinamento marino
Di NicolettaIl titolo di questo volume ci ricorda una bellissima canzone del compianto Lucio Dalla e il ricordo è molto gradito. Ma Come è profondo il mare, scritto da Nicolò Carnimeo, docente di Diritto della Navigazione e dei Trasporti all’Università di Bari non ha a che fare con le canzoni. E’ anzi un grido disperato per l’uso che l’uomo fa del mare e degli oceani, usati come una discarica. In tutti gli oceani e anche nel Mediterraneo sono immensi ammassi di plastica galleggiante, impropriamente definiti isole, grandi come continenti.
Abbiamo più volte parlato sulle nostre pagine del nostro blog dei Garbage Patch e dei Trash Vortex, costituiti dalla plastica frantumata e concentrata dalle correnti in determinati luoghi. Ma in mare viene sversato ogni tipo di inquinante e rifiuto tossico, proprio perché quanto sprofonda negli abissi marini non è più visibile e ci dà l’impressione di scomparire per sempre. Nelle profondità marine si trovano gli armamenti della II Guerra mondiale e dei conflitti più recenti (quindi molto tritolo), ci sono scorie nucleari (anche il cesio radiattivo di Fukushima è stato sversato nell’acqua dell’oceano) e tanto mercurio.
La plastica frantumata di cui parlavamo sopra non è soltanto dannosa perché viene scambiata dai pesci per plancton che spesso ostruisce il loro tubo digerente – ma funziona anche come una sorta di spugna che ingloba tutti gli altri inquinanti presenti nell’acqua. I metalli pesanti e infinite altre sostanze chimiche tossiche attraverso i pesci più piccoli entrano così nella catena alimentare che termina con l’uomo. Anche gli uccelli scambiano i frammenti di plastica colorata per pesci e spesse volte ne restano soffocati.
La plastica che è nei mari ormai non può essere rimossa, bisogna sperare che la ricerca scientifica trovi dei batteri adatti a degradarla: sarebbe un modo per vedere la natura reagire all’inquinamento e gli studi in questo senso sono già in corso. Ma tutto questo non servirà a nulla se non impareremo a limitare al massimo l’uso della plastica usa-e-getta. Bisogna imparare a riciclare sempre di più e a preferire le bioplastiche, capaci di degradarsi in composti semplici che non rimangono nell’ambiente.
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