Possiamo davvero fidarci dei “cibi biologici”?

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Con il termine alimenti biologici si indicano i cibi di origine vegetale o animale prodotti con opportune misure volte a evitare l’impiego delle sostanze chimiche di sintesi lungo tutta la filiera: coltivazione o allevamento, lavorazione e confezionamento.

Quali sono le differenze nutrizionali tra prodotti biologici e convenzionali? A livello di macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi) il valore è più o meno analogo.

Invece, se parliamo di micronutrienti (vitamine, antiossidanti, sali minerali), le differenze sono cospicue. Un ortaggio cresciuto nella sua stagione, in un campo correttamente trattato, sviluppa maggior quantità di sostanze antiossidanti di uno coltivato in serra e con l’impiego di pesticidi o altri farmaci.

Dal punto di vista organolettico, i cibi biologici sono migliori di quelli dell’agricoltura o dell’allevamento tradizionale: per esempio, una carne biologica è più saporita perché è più ricca di insaturi che, oltre a far bene alla salute (abbassano il rischio di malattie cardiovascolari e tutta un’altra serie di patologie), danno anche più gusto alla carne.

Comunque, la differenza più grande tra alimenti convenzionali e biologici non è di tipo nutrizionale, bensì nel fatto che in essi non si trovano tracce di pesticidi, anticrittogamici, fitofarmaci, antibiotici ecc. E questo vale anche per la zootecnia: negli allevamenti biologici, infatti, gli animali non soltanto vivono liberi, ma mangiano soltanto mangimi o foraggio biologici.

In Italia l’agricoltura biologica è ben regolamentata: quindi, la risposta alla domanda del titolo è “sì”. Prima di ottenere una certificazione, un’azienda deve dimostrare di essere in grado di garantire una serie di condizioni di salubrità: che il terreno sia stato bonificato rispetto alle culture precedenti, distanza di rispetto da strade molto trafficate, fabbriche, falde acquifere che passano nei campi di agricoltura tradizionale ecc.

Su ogni prodotto biologico è apposto il marchio europeo che vedete qui accanto: una foglia fatta da stelle. Sulla confezione deve essere presente la dicitura “Da agricoltura biologica” (e non “Prodotto naturale”, che per la legge non significa nulla). Abbinato al marchio europeo deve comparire un marchio certificatore locale – quello di una delle varie aziende italiane (pubbliche o private), che garantiscono per le aziende più piccole da loro coordinate.

“Biologico” non è necessariamente sinonimo di “sano”, nel senso che alcuni alimenti devono sempre essere mangiati con parsimonia: per esempio, gli zuccheri, le farine molto raffinate (0 e 00), latte e derivati, salumi e carni rosse.

L’agricoltura biologica è relativamente diffusa, il consumo del biologico nel nostro paese non è ancora sufficiente. O meglio, ci sono state delle ondate di particolare interesse nei periodi di allarme alimentare – per esempio quando si è sentito parlare di mucca pazza, di cibi alla diossina, di influenza aviaria. Ma bisognerebbe investire di più, non solo da parte dei privati ma anche dello Stato. Occorrerebbe far mangiare “bio” nelle mense delle scuole e negli ospedali, sia per favorire la crescita sana dei bambini e la guarigione dei malati, che per istruire gli uni e gli altri su quella che è un’alimentazione davvero corretta. Un investimento che in futuro porterebbe a una diminuzione dei costi per la Sanità.

Un’ultima parola sul prezzo: gli alimenti biologici devono costare di più degli altri perché l’agricoltura biologica ha una resa decisamente minore di quella tradizionale.


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