Macro e microplastiche: anche i coralli di acqua fredda ne risentono

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Tra le attività umane che influenzano gli ecosistemi marini, il rilascio di materiale plastico nelle acque rappresenta una questione chiave per la conservazione della biodiversità e delle risorse associate. Una ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha indagato proprio gli effetti delle materie plastiche su crescita, alimentazione e comportamento della specie corallina di acqua fredda Lophelia pertusa nel Mar Mediterraneo nord occidentale.

Microplastiche in mare: origine, distribuzione e danni ambientali

Gli accumuli di plastica negli oceani, ormai, arrivano a costituire il 60-80% dei rifiuti e gli impatti da esposizione a queste materie sono stati osservati su diverse specie marine, compresi gli organismi bentonici. Per questo, negli ultimi tempi, le microplastiche (frammenti di plastica inferiori a 5 mm) e le minacce che rappresentano per gli ecosistemi sono state un motivo di forte discussione e dibattito.

Le microplastiche negli ambienti marini sono composte principalmente da polipropilene (24%), polietilene a bassa densità (21%), polivinilcloruro (19%) e polietilene ad alta densità (17%).

A causa di questi materiali, i pericoli a cui è esposta la fauna sono molteplici, sia per il rischio di ingestione diretta, trasferimento e bioaccumulo all’interno della catena alimentare sia in quanto vettori potenzialmente dannosi di metalli pesanti, inquinanti organici e trasporto microbico.

Le piccole plastiche possono provenire da fonti primarie, già prodotte a dimensioni microscopiche, o derivare dalla frammentazione di residui più grandi.

La maggioranza degli studi sull’argomento si è focalizzata sugli ambienti di acque basse, sebbene il mare profondo sia ora riconosciuto come un importante deposito per i detriti di plastica. Questi rifiuti sono tipicamente colonizzati da biofilm microbici, che ne influenzano l’idrofobia, la galleggiabilità e la velocità di trasporto verticale.

L’inabissamento nelle acque dipende anche dalle dimensioni e le microplastiche più grandi hanno una maggiore probabilità di raggiungere il fondale, aggregandosi, in particolare, nei canyon sottomarini.

Una dura prova per la salute dei coralli di profondità

I coralli di acqua fredda svolgono un ruolo chiave negli ecosistemi di acque profonde sostenendo la biodiversità e supportando importanti servizi ecologici. Questi organismi, così come gasteropodi, echinodermi, granchi e molti altri, hanno già dimostrato di ingerire le microplastiche.

I polipi corallini di acqua fredda, infatti, si trovano spesso nei canyon sottomarini dove formano scogliere e strutture che forniscono nicchie e nursery per una varietà di altre specie. Tuttavia, la complessità strutturale delle barriere coralline porta ad un accumulo preferenziale di plastica proprio all’interno di questi habitat.

Gli esperimenti condotti dal professor Lartaud e dal suo team hanno dimostrato che micro e macroplastiche riducono i tassi di accrescimento scheletrico dei coralli. Da quanto emerso, le macroplastiche agiscono come barriere fisiche per l’approvvigionamento alimentare; inoltre, sono responsabili di una diminuzione dei tassi di cattura delle prede e di un aumento dell’attività del polipo.

Tramite quest’ultimo, L. pertusa incrementa l’assunzione di ossigeno espandendo i tentacoli per ampliare la superficie di tessuto a contatto con l’acqua e produce un’elevata quantità di muco per pulire l’organismo dalla copertura di plastica. Inversamente, le microplastiche non hanno impatto sul comportamento o sui tassi di cattura degli animali, ma determinano una calcificazione ridotta rispetto al controllo.

Una pericolosa forma di inquinamento, dunque, che costituisce una minaccia per la crescita dei coralli, mettendo a repentaglio la resilienza e la biodiversità associata di questi unici “giardini” subacquei.

Fonte: L. Chapron, E. Peru, A. Engler, J. F. Ghiglione, A. L. Meistertzheim, A. M. Pruski, A. Purser, G. Vétion, P. E. Galand & F. Lartaud, Macro- and microplastics affectcold-water corals growth, feeding and behaviour, Scientific Reports, (2018) 8:15299 | DOI:10.1038/s41598-018-33683-6 1 [Open Access] Creative Commons Attribution 4.0 International License


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