L’inarrestabile ascesa dell’agricoltura urbana
Di NicolettaSolo pochi anni fa si è iniziato a parlare di orti sul balcone e da allora sono stati fatti enormi progressi di civiltà: ci sono ora orti sui tetti, orti comunali, orti condivisi (o orti sociali), orti parrocchiali. Almeno su questo fronte, la risposta della gente ai temi ambientali, al biologico, al chilometro zero ecc. è stata di grande sensibilità – anche se bisogna ammettere che la crisi economica ha fatto la sua parte.
Ne parla con competenza e dovizia di particolari un testo appena uscito, L’Orto diffuso, dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola opera di Mariella Bussolati, per i tipi di Orme editore, collegato a un progetto che tenta di mappare (online) e aggiornare continuamente le nuove iniziative.
E così scopriamo che iniziano a comparire addirittura gli orti aziendali, per società commerciali che vogliono cimentarsi nella produzione agricola a fini sociali e culturali. I vantaggi dei corporate garden sono molteplici: si recuperano aree abbandonate, si riqualificano le periferie, si diffonde l’importanza della preferenza per la filiera corta, si producono dei benefit (alquanto insoliti) per i dipendenti (un po’ di sano relax per chi vuole lavorare, buoni ortaggi e frutta per chi preleva soltanto) e migliora la company reputation. In particolare, a Milano esiste almeno una Onlus che realizza orti per conto di aziende anche nell’ottica del progetto “Nutrire il pianeta”, tema dell’Expo del 2015.
Sempre a Milano, è stata conquistato il diritto per le associazioni di cittadini di chiedere un appezzamento di terra pubblico abbandonato per trasformarlo in un orto comunitario.
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