Interferenti endocrini: cosa sono, effetti sulla salute e come evitarli

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Interferenti endocrini

Con il termine interferenti endocrini (in inglese chiamati endocrine disrupting chemicalsendocrine disruptors o EDC) si indicano circa 800 sostanze chimiche di sintesi usate come additivi per gli usi più disparati (vernici, colle, cosmetici, materie plastiche, pesticidi, parti di oggetti elettronici) le cui molecole hanno forme molto simili ai recettori degli ormoni e quindi vengono accettati dal sistema endocrino come “buoni” e vanno a incidere sulle funzioni regolate dal sistema endocrino: crescita e sviluppo, metabolismo, sonno e umore.

Gli anglosassoni li chiamano come detto, endocrine disruptors: il termine rende bene l’idea della “distruzione”, dei danni che possono arrecare sia al soggetto che ai suoi figli. Gli interferenti endocrini sono una grande bomba chimica a orologeria con un effetto boomerang sulla nostra salute.

Gli interferenti endocrini più diffusi nell’ambiente

Tra gli interferenti endocrini più diffusi ci sono gli alchilfenoli (usati come tensioattivi, emulsificatori e disperdenti nell’industria e nella cosmesi), il bisfenolo A (anche noto come BPA, usato nella produzione di alcuni tipi di plastiche), il DDT (ancora usato in molti paesi del mondo per uccidere le zanzare portatrici della malaria), i policlorobifenili (o PCB, utilizzati come isolanti termici ed elettrici e con molte applicazioni come additivi per vernici, pesticidi, colle, sigillanti, carta copiativa e scontrini) e gli ftalati (usati come agenti plastificanti per migliorare la flessibilità dei polimeri).

Questi composti hanno nomi complessi come bisfenoli, ftalati, parabeni – ma sono più diffusi di quanto pensiamo. Si trovano in molti cosmetici e prodotti per l’igiene personale, ma anche nelle parti in plastica di molti dispositivi medici usati negli ospedali. Si trovano anche nel food packaging, ovvero nei contenitori o nelle pellicole che servono per proteggere il cibo.

Ne siamo circondati e per decenni, oltre che utilizzarli quotidianamente li abbiamo sversati nell’ambiente sia come residui della produzione industriale che come rifiuti. Se non sono riciclati correttamente e finiscono nel luogo sbagliato (sulla terraferma, nei fiumi o nei mari), si deteriorano sotto l’effetto degli agenti atmosferici e la luce solare, si frammentano in parti molto piccole ed entrano nella catena alimentare dei pesci o degli animali e nel giro di breve tempo arrivano a minacciare direttamente la nostra salute.

L’impatto sulla nostra salute

Oggi a livello medico se ne vedono gli effetti con patologie di tipo endocrino, ad esempio disturbi della maturazione sessuale, con casi di ermafroditismo, femminilizzazione dei neonati maschi o interferenza nello sviluppo dei genitali. E poi l’insorgere di altre gravi malattie tra cui cancro del seno, della mammella e della tiroide, problemi nello sviluppo cognitivo e mentale, perfino nell’ormai tristemente noto disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (ADHD).

Sono in corso vari progetti per individuare queste sostanze e sostituirle con altre innocue. Ma alcune regole pratiche sono applicabili da tutti: ad esempio, non bisognerebbe riutilizzare i contenitori in plastica concepiti come monouso (ad esempio, le bottiglie dell’acqua o delle bibite). Sono da evitare i vecchi biberon in policarbonato (ormai fuori commercio), le parti carbonizzate degli alimenti. Le padelle antiaderenti con la superficie danneggiata o scalfita dovrebbero essere utilizzate al minimo o evitate del tutto. Sono regole semplici, ma possono ridurre molto l’effetto degli EDC.


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