Ecosostenibilità e coscienza ecologica: il percorso verso lʼequilibrio

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ecosostenibilità

Ci sentiamo sempre più spesso ripetere che le nostre scelte quotidiane, anche le più basilari, possono avere un enorme impatto sull’ambiente a livello globale. Solitamente, la prima reazione spontanea di fronte a tale richiamo alla responsabilità individuale nei confronti dell’intero pianeta è lʼincredulità. Sul serio, se io dovessi scegliere un detergente per le mani ecologico, anziché un sapone qualsiasi, le mie preferenze avranno delle conseguenze tangibili e rilevanti sull’intero ecosistema?

Non dobbiamo stupirci di una simile visione individualista, essendo tipica della società occidentale, ov’è prevalsa come elemento fondante della civiltà e del progresso. In tal senso, il modello di pensiero collettivista – diffuso presso le società orientali – viene percepito in antitesi allʼindividualismo. Per risolvere il dilemma, bisogna andare oltre il dilemma in sé: società e individuo non sono due concetti che si contrappongono, ossia non sono disgiunti lʼuno dallʼaltro, ma interconnessi. Perfino il più individualista essere umano avrà un certo grado di correlazione con la società, ed a sua volta, la società intesa come totalità del genere umano è interconnessa con lʼhabitat naturale – per esteso, con lʼecosistema planetario.

Lʼorigine della “coscienza ecologica”

Fino a qualche decennio fa, nessun marchio industriale si premurava di mettere in produzione linee di prodotti ecologici, poiché non vi erano molti consumatori attenti alle conseguenze ambientali di una mole inarrestabile di rifiuti da smaltire, né di sostanze inquinanti che contaminano le falde acquifere ed i terreni. La questione dell’ambientalismo emerse negli anni Sessanta, in considerazione degli effetti nocivi dello sviluppo industriale.

Una “coscienza ecologica” iniziò a prendere forma in seguito al primo studio scientifico – realizzato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) – sulle conseguenze del tasso di industrializzazione, inquinamento, sfruttamento delle risorse naturali indiscriminato ed aumento esponenziale della popolazione sull’ecosistema terrestre, nonché sulla sopravvivenza stessa della specie umana. Il ʻRapporto sui limiti dello sviluppoʼ (The Limits to Growth), pubblicato nel 1972 da Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III, concluse che se non si fosse trovato un equilibrio ecologico ed economico sostenibile anche nel futuro anteriore, entro cento anni lo sviluppo umano sul nostro pianeta sarebbe giunto al limite. Come probabile conseguenza di ciò, un traumatico declino della popolazione e della capacità industriale.

La necessità di uno sviluppo sostenibile

A distanza di venti anni dal rapporto del MIT, ossia nel 1992, fu pubblicato un primo aggiornamento che rilevava come – attraverso i dati raccolti nel frattempo – i limiti della “capacità di carico” del pianeta fossero già stati superati, con un anticipo di ben 70 anni sulle proiezioni iniziali. Pertanto, non solo fu fatto ben poco per ricercare un equilibrio fra lʼindustrializzazione, lʼincremento spropositato dei consumi e della correlata produzione di rifiuti, ma si verificò unʼaccelerazione significativa nello sfruttamento intensivo e nell’inquinamento ambientale.

Lo stato di degrado dell’ecosistema fu evidenziato nel 2004, con il successivo aggiornamento intitolato ʻLimits to Growth: The 30-Year Updateʼ, curato dai medesimi autori. Le previsioni relative ad un collasso economico che avrebbe avuto luogo nel XXI secolo furono confermate nel 2008 dalla ricerca ʻA Comparison of “The Limits to Growth” With 30 Years of Realityʼ di Graham Turner, del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO). Tale ricerca, servendosi del modello matematico di simulazione World3-03, formulò una serie di scenari possibili sul prossimo andamento dell’impronta ecologica umana sul pianeta, evidenziando ancora una volta la necessità di uno sviluppo sostenibile.

Scenari futuri: una società sostenibile

In base alle simulazioni di Turner, per poter raggiungere una situazione di sostenibilità entro la prima metà del XXI secolo, è imprescindibile introdurre delle tempestive variazioni a livello globale. La buona notizia è che siamo ancora in tempo per invertire la tendenza che condurrebbe verso esiti assai complicati e di certo indesiderabili. Per cambiare rotta senza danni irreparabili, è tuttavia indispensabile introdurre cambiamenti e seguire una via che consiste nellʼabbattimento dellʼinquinamento, nella tutela dei suoli e nellʼeconomizzazione delle risorse naturali. In aggiunta a tali obiettivi, per valutare gli scenari è stata presa in considerazione una minore pressione demografica attuabile tramite una “programmazione familiare”, nonché la moderazione dei consumi che ciascuna persona può coscienziosamente perseguire, fin da ora.

Ciò dovrebbe rispondere alla domanda iniziale: sì, anche la scelta personale di un dispenser per sapone può influire sull’impatto complessivo ambientale della società contemporanea. Va detto, infine, che gli autori dello studio scientifico sopraccitato precisano come una evoluzione verso la “società sostenibile” passi attraverso la riduzione delle disuguaglianze ed unʼottica solidale. Difatti, in un contesto di povertà diffusa i tassi di natalità sono molto elevati; al contempo, i consumi crescenti e lʼinquinamento sono direttamente proporzionali alle classi sociali con più elevate ricchezze.

Entrambe le variabili – crescita esponenziale della popolazione e sfruttamento delle risorse naturali – sono in contrasto con uno sviluppo indirizzato allʼequilibrio fra lʼambiente e lʼuomo. Se le risorse necessarie alla produzione industriale e lʼinquinamento andranno verso una costante diminuzione, assieme ad un minore spazio sottratto allʼagricoltura dagli insediamenti abitativi, la produttività della Terra incrementerà ed i limiti allo sviluppo saranno rimossi.

Flora Liliana Menicocci


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