“Dzud”: quando il rischio climatico si somma alla vulnerabilità socioeconomica
Di Angela ChimientiNegli ultimi decenni, i disastri legati al clima, insieme al danno associato ai mezzi di sussistenza e ai sistemi socio-ecologici, sono aumentati in tutto il mondo. I fattori che influenzano l’aumento di frequenza di questi eventi sono numerosi, e soprattutto l’impatto di tali fenomeni non dipende solo dal rischio climatico in sé, ma anche dalla vulnerabilità delle comunità locali.
Molte società umane sensibili ai pericoli climatici sono anche sotto pressione dal punto di vista economico e sociopolitico. Nelle praterie eurasiatiche, per esempio, la pastorizia e l’agricoltura costituiscono il 35% della forza lavoro, e sono attività che si svolgono in ambienti aspri, freddi e aridi. A causa del clima rigido, spesso, il bestiame debole muore durante la stagione fredda; tuttavia, è nel corso dell’anomalo e severo inverno (“dzud o zud” in mongolo) che si registrano mortalità eccessivamente elevate. Gli dzud si verificano tipicamente in tutta l’Asia centrale. Negli anni 2000, un aumento di frequenza e gravità di questo fenomeno ha causato massicce perdite di bestiame in Mongolia, con un grande impatto sulla socioeconomia nazionale.
Dzud o zud: di cosa si tratta?
Da un punto di visto biogeofisico, lo dzud o zud è definito come un insieme di condizioni climatiche e/o superficiali anomale che portano a una ridotta accessibilità e/o disponibilità di pascoli. In poche parole, un inverno particolarmente nevoso e avverso, in cui gli animali non sono in grado di trovare foraggio attraverso la spessa copertura di neve e ghiaccio, e un gran numero di essi muore a causa della fame e del freddo.
Il contributo di processi naturali e sociali
Per analizzare gli dzud, capirne le cause naturali e i fattori relativi all’uomo, uno studio recente condotto in Mongolia ha presentato la prima valutazione dei contributi sia del clima sia della vulnerabilità socioeconomica al rischio di mortalità del bestiame dovuto a questo evento.
I rischi climatici presi in considerazione sono stati soprattutto la siccità e le condizioni invernali rigide; mentre per la vulnerabilità, i ricercatori hanno fatto riferimento alla capacità socioeconomica pre-invernale delle famiglie di pastori (condizioni degli animali, riserve di fieno/foraggio, possesso di mezzi di trasporto, frazione di pastori tra 35-59 anni e povertà).
I risultati hanno mostrato che il 93,5% della mortalità di bestiame era dovuto a una combinazione di entrambe le categorie in esame, suggerendo che l’impatto degli dzud dipende sia dal clima sia dall’uomo. Secondo i dati, tuttavia, negli hotspots ad alta mortalità, la sovrappopolazione di bestiame e una carente capacità di far fronte al gelido inverno hanno portato a una preparazione inadeguata della popolazione, risultando determinanti. L’aumento della vulnerabilità causata dai cambiamenti socioeconomici avvenuti dagli anni ’90, inoltre, ha amplificato il rischio di decesso del bestiame già legato alle difficili condizioni climatiche.
La Mongolia è un Paese dove almeno metà della popolazione è nomade e sopravvive grazie alla pastorizia come fonte principale di reddito. Di conseguenza, nonostante inevitabili pericoli futuri connessi agli dzud, alleviare gli impatti sulle comunità di pastori rafforzando le capacità di adattamento e la resilienza in ambienti degradati sarà una sfida cruciale. Una comprensione rigorosa del rischio di una catastrofe, delle sue dimensioni causali e delle tendenze di cambiamento in quelle dimensioni, può agire come fondamento importante per ridurre il rischio futuro.
Fonte:
Banzragch Nandintsetseg, Masato Shinoda, Chunling Du & Erdenebadrakh Munkhjargal, Cold-season disasters on the Eurasian steppes: Climate-driven or man-made, Scientific Reports | (2018) 8:14769 | DOI:10.1038/s41598-018-33046-1 [Open Access] Creative Commons Attribution 4.0 International License.
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