Dissesto idrogeologico in Italia: quali sarebbero gli interventi chiave

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dissesto idrogeologico e franeIl dissesto idrogeologico in Italia, che si ripresenta sempre più spesso sotto forma di alluvioni e frane è dovuto a precise responsabilità dell’uomo: in primo luogo inerzie burocratiche e incuria. Non si insisterà mai abbastanza sull’importanza della tutela del territorio, sull’attenta manutenzione e sulla prevenzione. Ecco alcune parole chiave in questo ambito, in un paese come il nostro dove le zone con criticità idrogeologiche si contano a migliaia.

Canali scolmatori: sono canali artificiali capaci di ridurre la portata di piena di un corso d’acqua, prelevandone una parte quando si supera un determinato livello soglia e scaricandola in un lago o nel mare.

Dove il mare o i laghi non sono vicini, si possono costruire bacini di espansione, volti a stoccare temporaneamente una parte del volume dell’ondata di piena, l’acqua in eccesso. I bacini di espansione possono essere costituiti da serbatoi di laminazione ovvero invasi relativamente profondi, più costruibili nelle zone montane oppure da casse di espansione – realizzate nei tratti pianeggianti. Le casse di espansione non devono essere necessariamente spazi sottratti del tutto e per sempre alla comunità. Ad esempio, se diventano parchi attrezzati con giochi e altre semplici strutture, sono fruibili durante tutto l’anno dai cittadini e quando arriva l’alluvione servono a limitare i danni sulla città.

Sono poi necessari ampliamenti dell’alveo dei torrenti e rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, manutenzione regolare delle sponde fluviali: per troppi decenni si è costruito senza rispettare neppure i rigagnoli, che con le piogge diventano fiumi gonfi d’acqua non assorbibile dai terreni circostanti perché coperti dal cemento.

Piani di protezione civile rivolti direttamente alla popolazione, ad esempio, incontri dei geologi con gli abitanti dei comuni a rischio, che spieghino rischi e precauzioni da prendere, con piani di emergenza aggiornati ed esercitazioni periodiche.

Servono poi interventi di delocalizzazioni di immobili, nelle aree a rischio abbinati a vincoli di inedificabilità sulle zone a rischio assoluto e limiti al consumo del suolo nelle zone più fragili fino alla riconversione all’agricoltura di terreni già considerati in passato edificabili (almeno sulla carta) ma non ancora invasi dal cemento.


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