Biorestauro: come i batteri aiutano nella conservazione dei beni culturali
Di NicolettaQuello dei batteri è un mondo ancora in gran parte sconosciuto – anche agli scienziati. Per l’uomo della strada la parola “batterio” evoca subito il concetto di malattia. Ma questi organismi non sono sempre soltanto patogeni, molti sono del tutto innocui o addirittura benefici per la salute dell’uomo e altri hanno enormi potenzialità che potranno essere dispiegate pienamente a nostro vantaggio quando si saranno comprese e sfruttate le loro funzioni metaboliche.
Nasce ad esempio nel settore delle biotecnologie l’utilizzo dei batteri come supporto oppure in alternativa ai tradizionali metodi di restauro. Un felice caso di studio sperimentale è stato costituito dal biorestauro della Casina Farnese sul colle Palatino a Roma, nel quale è stata applicata una procedura che in seguito ha portato alla presentazione di un interessante brevetto dell’ENEA. Sono state selezionate e vengono opportunamente coltivate colonie di batteri dalle particolari capacità metaboliche, che producono sostanze capaci di catturare e trasportare particolari molecole e di cambiare il colore dei supporti su cui agiscono.
Ad esempio, con particolari impacchi di batteri tenuti in sospensione in un’argilla colloidale chiamata laponite, si può lavorare su intonaci sporchi di nerofumo o su macchie di sali di ferro (più volgarmente conosciute come “ruggine”) presenti sul marmo (nella foto, le varie fasi dello “sbiancamento”). Dopo aver lasciato agire il gel per alcune ore, lo si elimina con una spatola e la parte trattata viene lavata con una spugnetta intrisa di acqua: la superficie risulta a seconda dei casi notevolmente schiarita, con i colori originari o con macchie rimosse.
Siamo ancora in fase sperimentale, ma si spera che in un futuro non troppo lontano siano disponibili per i restauratori una gamma completa di prodotti pronti all’uso e utilizzabili per la biopulitura di opere d’arte e monumenti.
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